24 luglio 2018

Louise Brown, la prima bambina nata in provetta, compie 40 anni

        «Questa settimana è quella del mio 40° compleanno. Come la maggior parte delle persone, probabilmente preferirei non farlo sapere troppo in giro. Ma, in tutto il mondo, il 25 luglio si celebra anche il 40° anniversario della fecondazione in vitro, la procedura che ha portato alla mia nascita».

        Louise Brown è stata la prima bambina concepita «in provetta». È nata all’ospedale di Oldham, nel Nord dell’Inghilterra, e ha cambiato la storia della medicina. Ha raccontato la sua vita in un libro, 40 Years of IVF – My Life as the world’s first test tube baby, che si può trovare qui.

        «Una ricerca del mese scorso afferma che otto milioni di persone sono nate attraverso la fecondazione in vitro, da allora. Una mostra al Science Museum di Londra parla di sei milioni: nessuno è sicuro dei dati esatti perché ogni giorno ci sono bambini che nascono attraverso tecniche di riproduzione assistita.

        Quando sono nata, Patrick Steptoe e Robert Edwards, i due uomini che hanno inventato la tecnica, hanno suggerito che il mio secondo nome fosse Joy. Hanno detto che la mia nascita avrebbe portato gioia a tante persone. Quarant’anni e milioni di bambini dopo, molti saranno d’accordo sul fatto che avevano ragione.

        La fecondazione in vitro, nelle sue molteplici forme, dà speranza alle persone che temono di non poter avere un figlio. Sono cambiate così tante cose nei decenni passati, ma non il desiderio delle coppie di avere bambini.

        Mia madre, Lesley Brown, andò dal medico perché soffriva di depressione. Ma al centro di tutto c’era la sua impossibilità di avere un figlio con mio padre, John. Quando hanno sentito di questo esperimento, si è riaccesa in loro la speranza. Anche se non era mai stato portato a termine prima, era qualcosa a cui aggrapparsi. E ha portato felicemente alla mia nascita. Per loro ha funzionato anche dopo, con mia sorella Natalie, nata nel 1982 (è stata la quarantesima al mondo). Questa possibilità, oggi, è a disposizione di tutte le coppie, e grazie ai pionieri la strada è più facile che mai da percorrere.

        Certo, ci sono discussioni sui tassi di successo delle diverse tecniche, che purtroppo non funzionano per tutti. Il dibattito morale su quanto la scienza dovrebbe spingersi nella genetica, intanto, si accende. La fecondazione in vitro ora è un settore multimiliardario in tutto il mondo e molto dipende da dove si vive e da quali aiuti si hanno a disposizione, e da quanto si deve spendere.

        Ogni giorno donne e uomini iniziano questo viaggio. Prima devono prendere il coraggio di ammettere a se stessi che le cose non stanno funzionano, nella parte più intima delle loro vite. Devono condividere i loro problemi con medici e specialisti. Alcuni lo nascondono anche ai loro migliori amici e ai familiari.

        Potrebbero aver bisogno di qualche semplice accorgimento o di operazioni – come ha fatto mia madre – prima di tentare la fecondazione assistita. Al giorno d’oggi vengono utilizzate diete, medicine, computer e persino la robotica: è difficile, per chi sta vivendo tutto questo, riuscire a concentrarsi sul suo vero desiderio, che è quello di poter tenere un bambino tra le braccia.

        Purtroppo, i pionieri – mia madre e mio padre, Patrick Steptoe, Robert Edwards e non dimentichiamo il loro fantastico assistente Jean Purdy, che è rimasto sveglio tutta la notte a guardare le cellule, che sarebbero diventate me, dividersi in una capsula di Petri – sono tutti morti.

        Certamente, mia madre non avrebbe mai immaginato a cosa avrebbe portato la mia nascita. Quarant’anni dopo, altri scienziati stanno spingendo ancora oltre i confini, gli embriologi stanno inventando nuove tecniche e le questioni morali sono ancora in fase di dibattito. La fecondazione in vitro sta svolgendo un ruolo enorme nella trasformazione delle famiglie omogenitoriali, che adesso possono diventare genitori.

        Agli uomini e alle donne che stanno provando questa tecnica, dico: “Non perdete mai la speranza”. Ai medici e agli embriologi auguro di continuare bene il loro lavoro, e a tutti coloro che sono coinvolti nella fecondazione in vitro, dico: “Grazie per tutto quello che avete fatto, a nome di milioni di bambini“.

        Già. Una volta ero l’unico al mondo. Ora, siamo milioni e non possiamo più essere ignorati».

Fonte https://www.vanityfair.it

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